Nave recuperi italiana “Artiglio”
Franco Tommasino
Nave recuperi italiana “Artiglio”
Modello navigante costruito a Genova nel 1997
M.M.T.A. - Invent. n. 030
Materiali: vetroresina, plastica, ottone, acciaio, stoffa, legno e corda; su basamento di legno
Dimensioni: cm 90x17x50
Scala: 1:100
Scafo in vetroresina con forte insellatura; tuga poppiera; alto fumaiolo sopra la tuga; un’elica a quattro pale; due scialuppe; due maniche a vento ai lati del fumaiolo; due alberi, quello prodiero munito di bighi per il carico, uno dei quali è dotato di benna e l’altro di tenaglia; due picchi a proravia della tuga, uno con scafandro e l’altro con campana; tre boe gialle; un boccaporto con la copertura sollevabile; opera viva di colore rosso; opera morta di colore nero con striscia bianca orizzontale; tuga di colore giallo; plancia di colore bianco; fumaiolo di colore nero con striscia tricolore; antenna bipolare per radiocomunicazioni tesa fra i due alberi. “In occasione dell’anniversario della memorabile impresa compiuta dalla nave recuperi “Artiglio”, che aveva coperto di fama e di gloria tutta la marina italiana, non potei ignorare il desiderio di realizzarne un modello. Nel 1934, in pieno Atlantico, aveva recuperato tutto il tesoro della Banca dell’India, che si trovava a bordo del piroscafo inglese “Egypt”, affondato in seguito a collisione. Da dieci anni quelle ricchezze giacevano sul fondo del mare, a 150 metri di profondità, e nessuno era riuscito a riportarle a galla. I palombari italiani, quasi tutti di Viareggio, ebbero successo e in sei mesi recuperarono ben 8 tonnellate d’oro, 70 d’argento, 50 casse di sterline e altri valori. L’impresa suscitò ammirazione in tutto il mondo, per la temerarietà che avevano dimostrato quegli uomini, visto che normalmente non ci si spingeva oltre i 50 m. Essi erano muniti di speciali scafandri ad alta resistenza che permettevano di raggiungere elevate profondità. Il modello, completo di verricelli e di scafandri, è stato realizzato in due esemplari: uno per il Museo Navale Internazionale del Ponente Ligure, di Imperia, e l’altro per il Museo Marinaro. Un cimelio interessante è la scatola di metallo contenente un documentario del 1924, anno dell’affondamento dell nave, recuperata insieme al tesoro e donata al Museo dal palombaro Alberto Gianni. Il piroscafo “Artiglio” era stato costruito a Glasgow nel 1906 con il nome di “Macbeth”. Poi era stato acquistato da un armatore italiano e ribattezzato “Ideale”. Infine, passato di proprietà della SORIMA, aveva assunto il nome con il quale è passato alla storia. Le sue dimensioni erano: lunghezza m 46,85; larghezza m 7,01; altezza m 3,4; stazza 283,73 tonn. L’apparato motore comprendeva una macchina a vapore a triplice espansione da 650 CV e alcune caldaie. Il bastimento aveva tutte le caratteristiche necessarie per soddisfare le esigenze dei suoi armatori: non troppo grande, molto manovriero, capace di compiere rapide evoluzioni sul suo asse, dotato di robusti bighi di forza per sollevare oggetti pesanti, munito di potenti verricelli di tonneggio per spostarsi rapidamente in tutti i sensi ed equipaggiato con i più moderni sistemi di comunicazione interna ed esterna, scafandri e posti di manovra. Un duro compito lo attendeva: localizzare i relitti delle navi affondate e recuperarne il carico. Nell’agosto del 1928 il Governo Inglese interpellò la SORIMA per affidarle l’incarico di recuperare le riserve della Banca dell’India, contenute nelle stive del piroscafo “Egypt”, affondato in seguito a collisione. Nel 1923 avevano incaricato di tentare il recupero la ditta inglese P. Sanderberg & J. Swinburne la quale, utilizzando dei rimorchiatori svedesi, aveva iniziato le operazioni di rastrellamento per trovare il relitto, ma senza successo. Nel 1926 era stata la volta della ditta francese Union d’Entreprises Sous Marines, che non aveva avuto miglior fortuna. Alla fine di agosto del 1928, la Sanderberg & Swinburne stipulò un contratto con la SORIMA per individuare il piroscafo e recuperare il tesoro. La prima operazione da compiere era un’accurata ricerca negli archivi della Prefettura Marittima di Brest, per trovare qualche documento che indicasse la posizione corretta del relitto. Fu rinvenuta l’ultima trasmissione radio della nave, ma si pensò che avessero più valore i rilevamenti radiogoniometrici, data la confusione che regnava a bordo al momento dell’incidente. L’ispezione del fondo venne compiuta per mezzo di una rete a strascico, costituita da un cavo di acciaio trainato dallo “Artiglio” e dal “Rostro”. Ogni volta che il cavo incontrava qualcosa, i palombari si tuffavano per ispezionarlo, ma si trattava quasi sempre di scogli sommersi. Solo in un’occasione sembrò di aver trovato qualcosa, quando il cavo si spezzò, indicando la presenza di un oggetto tagliente. L’equipaggio lanciò immediatamente una boa per segnalare la posizione, ma a causa delle avverse condizioni atmosferiche, le navi dovettero abbandonare le ricerche e rientrare precipitosamente. Quando fu possibile ritornare sul posto, la boa era ormai scomparsa, per cui non si riuscì a ritrovare il punto. Durante la seconda campagna, il 30 agosto 1930 la SORIMA localizzò il relitto a 46°06’N 05°30’W. A quel punto iniziarono le operazioni di recupero: nella prima fase occorreva demolire con le mine i cinque ponti che sovrastavano la camera del tesoro. A metà settembre, i lavori dovettero essere interrotti per il sopraggiungere del cattivo tempo e rimandati all’anno successivo. Approfittando della sosta invernale, le due navi assunsero l’incarico di liberare il canale di Quiberon e l’isola di Honat dallo scafo del piroscafo “Florence”, affondato nel 1918, che rappresentava un serio pericolo per la navigazione. La nave, che trasportava centinaia di tonnellate di esplosivi destinate alle truppe americane di stanza sul fronte Occidentale, era colata a picco in seguito ad uno scoppio nelle stive prodiere. Per nulla intimoriti, i palombari dello “Artiglio” ricorsero alle mine per demolire lo scafo, facendo esplodere oltre tre tonnellate di dinamite in due mesi senza che avvenisse alcun incidente. Ma il pericolo era sempre in agguato. Il 7 dicembre si verificò la tragedia: l’ennesima mina fatta brillare provocò lo scoppio delle 200 tonnellate di esplosivo che si trovavano a bordo. Un cratere di qualche centinaio di metri si formò sulla superficie dell’acqua e inghiottì lo “Artiglio” con tutto il suo equipaggio. Dodici uomini coraggiosi perirono tragicamente. I superstiti vennero salvati miracolosamente dal “Rostro” che si trovava nelle vicinanze. Nel 1931 venne acquistato un secondo “Artiglio”, l’ex piroscafo francese “Mauritaine”, costruito a Nantes nel 1908, le cui dimensioni erano: lunghezza m 50,76; larghezza m 7,64; altezza m 4,19; stazza 385 tonnellate; macchina a vapore a triplice espansione da 450 CV. Esso avrebbe sostituito l’esemplare affondato e, grazie alle sue maggiori dimensioni, sarebbe stato più idoneo all’impiego in una zona infida e tempestosa come l’imboccatura del Canale della Manica. I lavori di recupero del tesoro dello “Egypt” durarono sei mesi. All’inizio sul ponte giunsero soltanto pezzi di seta, cartucce e banconote, lasciando tutti nel più nero sconforto. Ma il 22 giugno, alle ore 14, comparvero i primi lingotti d’oro. Prima di continuare, fu osservato un minuto di silenzio per ricordare i compagni morti che avevano permesso la realizzazione dell’impresa. Tutto il tesoro fu recuperato, consolidando la fama della società, che cominciò a ricevere richieste da tutto il mondo.