Modelli di Navi Militari a vela

Brigantino a palo italiano “Luigi”

Brigantino a palo italiano “Luigi”

Brigantino a palo italiano “Luigi” (“Ciuilli”)

Modello costruito in Italia nel secondo quarto del XX secolo

M.M.T.A. - Invent. n. 006

Materiali: legno, corda e acciaio; su basamento di legno
Dimensioni: cm 62x20x40
Scala:1:100

Scafo a ossatura e fasciame; due alberi a vele quadre e uno a vele auriche; più bompresso; castello a prua; cassero a poppa; due tughe; una scialuppa; due gru di capone; opera viva di colore bianco; opera morta di colore verde; serpa, mascone e specchio di poppa decorati con volute vegetali di colore giallo. Il brigantino era un veliero leggero a due alberi, con attrezzatura mista a vele quadre e auriche, che permetteva di sfruttare i vantaggi di entrambi i tipi. Le prime erano più utili alle andature portanti, con i venti provenienti dai quadranti poppieri, e garantivano spinta e velocità, le seconde permettevano di sfruttare meglio i venti al traverso, e assicuravano agilità e maneggevolezza. Il brigantino era nato in nel tratto di mare compreso fra le coste dell’Inghilterra, della Francia e dei Paesi Bassi, quella sorta di “Mediterraneo del Nord” dove ebbero origine le principali innovazioni nautiche dell’età moderna. Le sue più dirette progenitrici erano quelle imbarcazioni olandesi tozze e panciute, armate con vele al terzo, che servivano al trasporto di merci e passeggeri da un porto all’altro, lungo le coste o i canali dell’entroterra. Nel Settecento venne utilizzato come unità veloce per il pattugliamento costiero, i servizi doganali, la lotta al contrabbando e il piccolo cabotaggio. Durante le guerre napoleoniche, gli Inglesi impiegarono con successo i brigantini per mantenere il blocco delle coste europee soggette al dominio francese e impedire i collegamenti marittimi fra una regione e l’altra dell’impero. Dopo la Restaurazione, questo tipo di nave si impose ovunque per la sua versatilità e robustezza, fino a diventare il mezzo più diffuseo per il commercio a corto e medio raggio in tutte le marinerie europee. Ne esistevano innumerevoli versioni con diverse combinazioni di velatura, a seconda delle necessità e della convenienza degli armatori. Un campionario completo dei diversi modelli si può vedere nei santuari italiani e francesi, dove esistono decine di ex voto che li raffigurano. Il brigantino giocò un ruolo fondamentale nella ricostruzione delle marinerie mediterranee, alla ricerca di un tipo di natante economico e di facile costruzione, che permettesse di riprendere i traffici da lungo tempo interrotti, senza avere i costi esorbitanti delle navi a vapore. Lo scafo corto e basso sull’acqua e l’attrezzatura mista lo rendevano particolarmente agile e sicuro, facile da governare anche attraverso i passaggi più stretti, nell’estuario dei fiumi o in mare aperto. La sua caratteristica fondamentale era la presenza di una grande vela aurica trapezoidale, la cosiddetta “brigantina” (un termine che finì per estendersi a tutto il bastimento), una randa inferita alla maestra in sostituzione del trevo, che permetteva di stringere bene il vento senza gli incovenienti della vela latina e non richiedeva così tanti uomini addetti alle manovre come la vela quadra. In inglese era conosciuto come “brigantine” e in francese “brigantin”. Negli anni 1830 se ne diffuse una versione dotata di trevo anche all’albero di maestra, onde sfruttare meglio il vento in poppa e conferire maggior equilibrio al natante, ottenendo così spunti migliori alle andature portanti. Essa veniva chiamata “brig” in inglese, “brick” in francese, termine che passò poi nel gergo italiano, e “bricche” in genovese. Per facilitare le manovre, spesso la vela aurica era inferita a un secondo alberetto collegato posteriormente alla maestra e alto sino alla coffa, il “senale”, che diede il nome a un altro modello particolare di brigantino, lo “snow”. Nelle sue varie versioni, esso divenne lo strumento principale della rinascita delle marinerie italiane, che proprio in quel periodo si accingevano a riprendere le rotte oceaniche, dopo la lunga pausa delle guerre napoleoniche, alla ricerca di nuovi sbocchi per le merci e la manodopera nostrane. Alcuni esemplari, invece di avere gli alberi formati da tre fusti sovrapposti in maniera sfalsata, li avevano in un sol pezzo, ossia a “pible”, e si chiamavano “polacche”. Lo scafo dei brigantini non differiva molto da quello dei tre alberi, se non per la lunghezza minore, che poteva andare dai 20 ai 40 m. Negli anni 1860, con l’aumento dei traffici, l’allungamento delle rotte e la necessità di trasportare carichi sempre più pesanti, si rese necessario aumentare considerevolmente le dimensioni dei velieri. L’unificazione del Paese infatti, aveva portato alla creazione di un vasto mercato nazionale, nel quale la richiesta di generi alimentari e di prodotti industriali si faceva ogni giorno più pressante. L’armamento a due alberi non era adatto a spingere natanti di grossa stazza, per cui il brick fu modificato con l’aggiunta di un terzo albero, il “palo”, dotato di una o due vele auriche, la randa e la controranda, che permetteva di percorrere agevolmente le lunghe rotte oceaniche senza i costi elevati dei tre alberi a vele quadre. Questo nuovo tipo fu chiamato “brigantino a palo” in italiano, con un termine non del tutto appropriato, “bark” in inglese, “trois-mats barque” in francese e “scippe” in genovese, un’evidente corruzione dell’inglese “ship”. Esso raggiunse una notevole diffusione fra il 1860 e il 1880, grazie alle eccellenti qualità nautiche e al buon equlibrio fra costi e ricavi. Una nave del genere poteva costare dalle 150 alle 200 mila lire dell’epoca, armamento compreso, e in quattro viaggi era in grado di ripagare le spese di costruzione, a patto che tutto filasse liscio. Da quel momento in poi le sue crociere avrebbero rappresentato un utile per l’armatore. Tenendo conto che ciascun viaggio durava in media un anno, che ogni campagna poteva rendere sulle 40-50 mila lire e che la vita media di un bastimento era di 15-20 anni, salvo incidenti, possiamo immaginare quale fosse la redditività delle imprese armatoriali. Questo spiega perché gli armatori liguri continuarono a costruire navi in legno a vela sino alla fine dell’Ottocento, specie quando il Parlamento votò una legge in favore della cantieristica nazionale che garantiva un contributo statale per ogni natante messo in mare dagli stabilimenti nazionali. Alcuni brigantini a palo avevano dimensioni ragguardevoli, come il “Lazzaro” del 1892, che stazzava 1.246 tonnellate ed era lungo 63 metri, o il “Precursore”, varato a Lavagna nel 1899, di ben 1.486 tonnellate. Centinaia di navi di questo tipo rappresentavano il nerbo della flotta mercantile italiana. Robusti, capienti e abbastanza veloci, potevano operare nei mari più lontani e battere con sicurezza le lunghe rotte oceaniche. Essi venivano costruiti un po’ in tutta la penisola, ovunque ci fossero un arenile adatto al varo, una manodopera capace e materiali a buon mercato, ma il centro principale era la Liguria, dove operavano cantieri di grandi dimensioni, come quello dei Fratelli Cadenaccio a Sestri Ponente, che ebbe sugli scali fino a venti unità contemporaneamente. Anche i velieri acquistati di seconda mano sul mercato inglese, in genere armati con tre alberi a vele quadre, venivano trasformati in brigantini a palo, allo scopo di risparmiare sui costi di gestione, secondo il costume nazionale. Lo stesso accadde al famoso clipper “Cutty Sark” quando venne acquistato da un armatore portoghese.

Origine

Collezione Ernani Andreatta

Data

25 Marzo 2018

Tags

a vela

Informazioni

Il Museo è accolto nella caserma della Scuola Telecomunicazioni delle Forze Armate a Chiavari.

Per visite al Museo, trattandosi di istituzione militare, occorre prenotarsi con tre giorni di anticipo